Ci vuole… disciplina nell’ambiente di condivisione dei dati!
E comunque, anche declinando il concetto di CDE verso scopi più basici, emergono comunque delle problematiche nel farne uno strumento operativo condiviso e efficace. Per me, ci videro giusto gli inglesi, quando al § 9.2 della PAS 1192-2:2013 dichiararono:
The structured use of a CDE requires strict discipline by all members of a design team in terms of adherence to agreed approaches and procedures, compared with a more traditional approach
In effetti, spesso vedere rispettate le procedure relative alle modalità di nomenclatura della documentazione condivisa, di compilazione dei metadati, di gestione delle comunicazioni, non è cosa scontata. Occorre impegno da parte di tutti i soggetti coinvolti e, soprattutto, occorre determinazione da parte di chi ha scelto di implementare un CDE nello stimolare (imporre) il rispetto di queste procedure, oltre che disporre dell’autorità per permettersi delle imposizioni, qualora necessario.
Certo, uno strumento capace di offrire delle funzionalità per vincolare gli utenti al rispetto di procedure predefinite, aiuterebbe in maniera determinante nel perseguimento del risultato. Vedasi ad esempio l’impossibilità di caricare un elaborato se non presenta la codifica corretta o se non ne sono stati compilati i metadati obbligatori.
Naturalmente tutto ciò acquista un senso qualora lo strumento utilizzato permetta di sfruttare in maniera efficace l’impegno riposto dai soggetti coinvolti nel rispetto di quelle procedure. Ecco che, quindi, assumono un’importanza significativa le possibilità, ad esempio, di ordinare e filtrare la documentazione sulla base dei campi della codifica prestabilita, di permettere interrogazioni dell’asset documentale sfruttando i metadati associati ai documenti, oppure di gestire in maniera similare le comunicazioni scambiate all’interno dell’Ambiente di Condivisione dei Dati.
Il CDE management non è uno scherzo
Per un’efficace implementazione di un CDE ai fini di un’oculata gestione documentale, rimane naturalmente dirimente una sua impostazione chiara, ossia comprensibile a tutti i soggetti coinvolti, e finalizzata all’obiettivo.
Una questione che spesso emerge è: quali documenti devono transitare nel CDE e quali no? La risposta dipende fortemente dalla fase del processo in cui ci si trova e dalla profondità a cui si vuole arrivare nella gestione documentale. In ogni caso, essa dovrebbe essere da subito chiara ai fini dell’impostazione del CDE e del suo utilizzo da parte dei soggetti coinvolti.
Analogamente: quali comunicazioni devono avvenire nel CDE e quali no?
Se è vero che il CDE vede uno dei suoi benefici nella riduzione dell’uso delle e-mail, è pur vero che oggi risulta piuttosto utopistico pensare che tutto venga comunicato nel CDE, non fosse altro perché si tratta di sradicare un’abitudine consolidata. La scelta sarà di natura gestionale, ad esempio posso decidere di attendermi delle osservazioni apportate ai documenti direttamente nel CDE solo in corrispondenza delle consegne formali prefissate o in ogni caso, ma anche di natura tecnologica, dipendentemente cioè dall’efficacia degli strumenti di comunicazione offerti, dal sistema di notifica che lo strumento propone, ecc.
Un ulteriore step, il più delicato, ma a mio avviso anche il più interessante, riguarda quello che il D.M. 560 definisce come “correlazione […] tra i flussi informativi digitalizzati e i processi decisionali”. In altre parole, va definito come si intenda utilizzare il CDE per digitalizzare i processi approvativi sulla documentazione condivisa.
Per arrivare a tale definizione, bisogna intersecare la mappatura dei processi decisionali da gestire (quali documenti sono interessati? chi si occupa della loro approvazione? in cosa consiste la verifica? come viene trasmesso il risultato della verifica?) con, ancora una volta, le funzionalità che lo strumento scelto ci mette a disposizione. La mappatura dei processi decisionali è un’attività che può risultare molto complessa, anche a seconda che ci si muova in ambito pubblico o privato, e che non può avvenire solamente ad opera della persona che nel team ha familiarità con l’uso dello strumento.
La stessa declinazione operativa delle celebri “aree del CDE” o degli “stati di lavorazione” e la gestione dei permessi d’accesso alla documentazione condivisa dipendono direttamente dalle succitate considerazioni.
Anche in questo caso, torna la necessità di chiarezza, intesa come condivisione dei processi da gestire e delle conseguenze di una loro gestione conforme o meno, nei confronti di chi poi si troverà ad utilizzare il CDE senza esserne stato parte del concepimento. In questo senso, l’esperienza ci dice che, nell’economia dell’intero processo, è sempre preferibile limitare il campo d’azione e di interazione di ciascun soggetto coinvolto a ciò che è strettamente di suo interesse e competenza. Nello scenario non infrequente, specie nella fase di realizzazione dell’opera, che vede soggetti percepire nella propria partecipazione al CDE più oneri che opportunità, perimetrare il loro spettro visivo a quel che è il minimo necessario al perseguimento degli obiettivi dell’intero processo può rivelarsi una scelta intelligente.
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